E’ una strana, è laureata.
Tutta la vita davanti, Paolo Virzì
Mi sembrano passati pochi giorni da quando una sera di inizio settembre ho guardato “Tutta la vita davanti”.
Mi riprometto di rivederlo fra qualche mese, se mi sentirò derubata di ogni parte della mia personalità.
Devo rivederlo se mi sentirò spersonalizzata e spoglia, se non avrò più voglia di andare avanti, se avrò perso ogni ambizione, ogni sogno.
Mi sveglio ogni giorno con il pensiero di quel film, in cui una neolaureata si “accontenta” di lavorare in un call center per mantenersi e non stare senza far niente, e si ritrova in un ambiente in cui ogni lavoratore è robotizzato e apatico. È un film fatto bene, di quelli che ti annientano, ti strappano da uno stato di felicità che alla fine è soltanto un’illusione.
È l’illusione di un futuro che non esiste, di programmi che non puoi fare, di viaggi che non puoi prenotare e che devi rimandare. È uno stato di felicità insulso e bugiardo, in cui devi continuare a centellinare gli spiccioli del portafogli, perché puoi concederti uno spettacolo teatrale al mese, perché due libri insieme non li puoi comprare.
Fra qualche giorno inizierò ufficialmente a lavorare, dopo un mese e poco più in cui lavoricchio e imparo, lavoricchio e imparo.
La scelta di accettare (scelta sofferta, ahimè, scelta soffocata) non abbatte i continui dubbi che ho.
E oggi scrivo perché ho paura di chiudere tutti i miei sogni in un cassetto, di perdere di vista ciò che desidero.
Scrivo perché ho paura, una paura folle di non poter più aver il tempo di scrivere, di dover soffocare le mie piacevoli abitudini. Scrivo perché fino a lunedì c’è stata una vita e so che da martedì ne inizierà un’altra, perché ho fatto un affiancamento in cui mi sono sentita uno stampino tale e quale al collega x, y, z …
Scrivo perché so che non mi piegherò, non diventerò quella che non sono, non farò sorrisi poco sinceri, non barerò né userò carte false pur di avere un profitto.
Non rinuncerò.
E se fossi diventata la protagonista del film Tutta la vita davanti?